Co.A.S. Medici Dirigenti

Associazione di medici dipendenti ospedalieri Organizzazione di categoria di Medici Ospedalieri Dipendenti dal S.S.N.

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Libere interpretazioni

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LIBERE  INTERPRETAZIONI  DI  AMMINISTRAZIONI  PUBBLICHE

In questi ultimi anni abbiamo dovuto constatare un
progressivo peggioramento dei rapporti tra Dirigenti
Medici e Amministratori della Sanità pubblica.

Favoriti da una legislazione extracontrattuale costruita
in assoluto dispregio della doverosa, conveniente e
minima correttezza dei rapporti tra datore di lavoro e
dipendenti, favoriti da norme “interpretabili” solitamente
a danno del dipendente, gli Amministratori della Sanità
pubblica,  coadiuvati da personale amministrativo dedito
al rispetto di ordini superiori in cambio del
raggiungimento di obiettivi ben remunerati, assumono
atteggiamenti di estremo rigore normativo ed economico
verso i dipendenti, salvo poi dover accettare
interpretazioni del tutto opposte avanzate dal
dipendente che si trova costretto a difendere
i propri
interessi tramite il ricorso ad un legale.

Perché questi reiterati abusi di posizione dominante
da parte  del datore di  lavoro pubblico ?

Ma andiamo ad esaminare lo specifico caso capitato ad un Collega  che - essendo un
nostro iscritto - abbiamo nelle settimane scorse tutelato con successo.

 

Per una malattia di non lieve importanza, il medico curante prescriveva al Collega un periodo di assenza dal lavoro, specificando nel certificato telematico oltre l’indirizzo di residenza già presente nel certificato e conosciuto dall’Azienda, anche l’indirizzo di temporaneo domicilio durante il periodo di malattia per eventuale visita fiscale.
Il medico fiscale, inviato dall’Azienda sanitaria all’indirizzo di residenza, riferiva che la ammalata era assente.  
Il periodo di malattia, senza ulteriore avviso, veniva detratto dagli emolumenti del nostro Iscritto.

Il Collega opponeva una sua richiesta di reintegro degli emolumenti sottratti – a suo giudizio – indebitamente, in quanto riteneva che l’errore fosse stato commesso dall’Azienda o dal Medico Fiscale nell’identificazione o trasmissione del domicilio durante il periodo di malattia.

LE NORME : in adempimento della prescrizione di cui all'art. 2 del d.l. 30 dicembre 1979, n.663, convertito con modificazioni nella legge 29 febbraio 1980, n.33, in materia di assenza per malattia, il lavoratore ha l'onere, di verificare che, nel certificato di malattia, sia stato correttamente indicato il luogo del proprio domicilio durante la malattia.
Ai sensi del comma 2, dell'art. 55 septies TUPI, in tutti i casi di assenza per malattia la certificazione medica è inviata per via telematica, direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria che la rilascia, all'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, secondo le modalità stabilite per la trasmissione telematica dei certificati medici nel settore privato dalla normativa vigente, e in particolare dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri previsto dall'articolo 50, comma 5-bis, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n.326, introdotto dall'articolo 1, comma 810, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e dal predetto Istituto è immediatamente resa disponibile, con le medesime modalità, all'amministrazione interessata.

L'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale utilizza la medesima certificazione per lo svolgimento delle attività di cui al successivo comma 3 anche mediante la trattazione dei dati riferiti alla diagnosi.
Al comma 2-bis dello stesso articolo si stabilisce poi che gli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti dal servizio per malattia sono effettuati, sul territorio nazionale, in via esclusiva dall'Inps.

Dalla lettura della normativa indicata ai punti precedenti si evince che il lavoratore altro obbligo non abbia, in relazione alla comunicazione del proprio domicilio, se non quello di verificare che, nel certificato di malattia, sia stato indicato correttamente il luogo del proprio domicilio durante la malattia, ciò al fine della reperibilità.

Di tale avviso è la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. 2 febbraio 1993, n. 1283) la quale ritiene che una volta adempiuto a tale obbligo il lavoratore possa essere domiciliato ai fini dei controlli fiscali in qualunque luogo del territorio nazionale.

Il certificato di malattia viene poi inviato all'INPS che lo rende disponibile all'Amministrazione Pubblica di appartenenza del lavoratore;  in ogni caso è l'INPS stesso che esegue gli accertamenti medico-legali.
E' quindi evidente che l'indirizzo presso il quale deve essere reperibile il lavoratore durante la malattia, se correttamente indicato nel certificato di malattia,  è sufficiente a far sì che il lavoratore abbia ben adempiuto al proprio obbligo di comunicazione dell'indirizzo al quale è reperibile durante la malattia ai fini degli accertamenti medico-legali, come avvenuto nel caso concreto.

La validità di tale teoria è dimostrata anche dal fatto che la Giurisprudenza, in tutta una serie di casi in cui addirittura manchi o sia insufficientemente indicato  l'indirizzo di reperibilità, ritiene che il lavoratore non sia sanzionabile.

La Giurisprudenza, infatti, ritiene che l’omessa indicazione dell’indirizzo non sia automaticamente equiparabile all’assenza ingiustificata alla visita di controllo (Cass. 23.8.1997, n. 7909; INPS, circ. 6.6.1990, n. 129);  l’INPS dovrà, infatti in casi similari,  cercare di procurarselo utilizzando l’ordinaria diligenza e il lavoratore avrà l’onere di provare che l’Istituto era in grado di procurarselo altrimenti, per esempio chiedendolo all’interessato (Cass. S.U. 2.2.1993, n. 1283).

Ancora, qualora durante la malattia il lavoratore cambi domicilio indicandolo nella certificazione regolarmente inviata all’INPS e il medico di controllo si sia invece recato al precedente recapito, indicato dal datore, la visita di controllo non può ritenersi effettuata, con inapplicabilità della sanzione prevista per l’irreperibilità del lavoratore, a nulla rilevando che il lavoratore abbia comunicato l’indirizzo solo all’INPS e non al datore di lavoro; quest’ultimo, infatti, può chiedere il controllo solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali (Cass. 26.5.1999, n. 5147).

Se il lavoratore omette tale indicazione e l’INPS non ne disponga in altro modo, l’irregolarità comporta la non indennizzabilità fino a quando i dati mancanti non siano completati o se ne venga altrimenti a conoscenza. Se invece l’INPS ne è già a conoscenza, per esempio per l’effettuazione di precedenti controlli, l’omessa indicazione dell’indirizzo non ha alcuna conseguenza economica (INPS, circ.4.8.1997, n. 182).

Se l’indirizzo insufficiente per il reperimento del lavoratore coincide con quello riportato sul certificato di residenza, il lavoratore può essere considerato giustificato (non perde l’indennità economica), ove si tratti di prima malattia.

Qualora il lavoratore abbia già inviato precedente certificato di malattia,  eventuali certificati successivi dovranno riportare il corretto indirizzo, pena la decadenza del diritto all’indennità fino a quando lo stesso non venga corretto (INPS, msg. 9.10.2009, n. 22747).

Concludiamo quindi questa pagina comunicando l'esito finale : dopo più di una relazione sullo stato del  diritto in materia di domicilio in periodo di malattia inviata dal nostro Legale di riferimento all’Azienda in questione, l’Azienda ha accettato di restituire al dipendente le trattenute effettuate.
Continuiamo a chiederci :
Come mai i Legali delle Aziende Sanitarie interpretano queste norme chiarissime e non suscettibili di altra o diversa interpretazione a loro uso e vantaggio ?  
Sperano forse in un dipendente distratto che accetta qualsiasi trattenuta senza neppur controllare la busta paga ?

FORSE  SI !    Le Aziende pubbliche italiane sono ridotte a questo punto ?