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l'opinione di Paolo Levoni

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Pubblichiamo il testo seguente ricevuto da parte del Dott. Paolo Levoni (*),

ritenendolo utile per stimolare idee e dibattiti nella difficile attuale fase economica, politica e sindacale.

Bergamo 13 settembre

Cari amici e colleghi,

la querelle attivata da Alessandro Vergallo, con il suo intervento a proposito del ruolo dei sindacati confederali e il loro rapporto con i sindacati che rappresentano le professioni, mi pare una ghiotta e irripetibile occasione per portare anche il mio contributo su questa controversa questione.

Premesso che tutti i tentativi per fare apparire digeribili, alcune posizioni oggettivamente assolutamente indigeste, appaiono sicuramente legittime e apprezzabili, quanto meno per motivare le ragioni per cui si è iscritti a un sindacato anziché a un altro.

In un momento come questo, in cui si mette in discussione il ruolo del sindacato nelle sue radici, occorre che questi tentativi evitino, per quanto e se possibile, ogni ipocrisia.

E’ necessario e doveroso, in via preliminare, riconoscere con rispetto, il diverso ruolo e funzione di un sindacato di categoria rispetto a una confederazione.

Ciò non legittima, però, l’assenza di alcuna opposizione e di alcuna protesta, da parte di almeno 2 confederazioni, riguardo le pesanti vessazioni contenute negli ultimi provvedimenti legislativi - dalla legge n. 122 del 2010 alle manovre dello scorso luglio oltre al testo del D.L. N.138 approvato venerdì dal Senato – previste solo e solamente per la dipendenza pubblica.

Nessuno, a partire dal sottoscritto, intende ignorare la situazione ed il disagio del paese Italia; semmai, invece, da parte del Governo c’è stato nel recente e meno recente passato, la volontà di negare le difficoltà economiche del Paese, salvo rincorrere e ipotizzare poi, in modo affannoso e con modifiche pressoché quotidiane, testi legislativi che spesso non appaiono credibili.

Siamo di fronte a un Governo, nello specifico ad un Ministro del Lavoro, che pare avere come principale obiettivo (riuscendoci) quello di rompere l’unità sindacale (ovviamente confederale).

Leggo negli interventi dei colleghi il richiamo ad un sindacato riformatore, o meglio riformista (definizione cara all’on.le Sacconi), ma questo non mi pare elemento sufficiente per non stare dalla parte dei lavoratori, accettando e legittimando senza alcuna protesta, le contraddizioni e le discriminazioni, che appaiono sempre più pesanti, nei confronti della dipendenza pubblica e ancor più della dirigenza.

A me pare che la “mission” del sindacato consista nella tutela dei lavoratori, che non sia mai mutata nel tempo e che tale tutela sia (o debba essere) assicurata principalmente attraverso la definizione di trattamenti equi e non discriminatori.

Al sindacato confederale compete, inoltre, l’importante ruolo di responsabile nella definizione dei riferimenti normativi e di trattamenti economici, quanto più possibile omogenei, nei diversi comparti di lavoro pubblici e privati.

Per valutare se il comportamento delle tre grandi confederazioni CGIL, CISL e UIL sia stato coerente con la “mission” sindacale, senza andare indietro ad Adamo ed Eva, vorrei ricordare alcuni momenti in cui, come dirigenza del SSN, abbiamo espresso il nostro disagio in merito alle posizioni assunte, o viceversa non assunte, dalle stesse confederazioni su alcuni temi di interesse nazionale.

Con la pubblicazione del d.l. n. 78 del 31 maggio 2010 (poi convertito nella Legge n. 122/2010) venne sancito il blocco, per un triennio, della contrattazione per la dipendenza pubblica, con l’aggiunta di un altro anno di blocco degli stipendi (totale 4 anni).

Nella prima ipotesi non solo prevedeva il congelamento del trattamento economico individuale, ma soprattutto veniva introdotta, dal comma 32 dell’art. 9, la possibilità che alla scadenza del contratto individuale e anche in presenza di una valutazione positiva, potesse essere affidato un nuovo incarico, anche con valenza professionale e di valore economico inferiore.

Ebbene, l’Intersindacale della dirigenza medica, veterinaria, sanitaria e amministrativa, conscia delle difficoltà economiche del Paese, indisse uno sciopero per il 18 luglio, la cui motivazione principale era costituita dalla denuncia della iniquità del comma 32, che nulla aveva da spartire con la manovra economica.

Certamente non potevamo contestualmente fare a meno di rilevare, come anche la tassazione dei redditi superiori a € 90.000 e a € 150.000 per i dipendenti pubblici, riguardante giustamente di fatto solamente le fasce più alte, fosse iniqua.

Non ci fu quindi un “focus” sul blocco della contrattazione, e le OOSS della dirigenza presero consapevolmente atto, seppure con rammarico, della sfavorevole congiuntura economica.

Ci un fu invece un silenzio assordante, su tutta la manovra, da parte di CISL e UIL mentre, per quanto concerneva lo sciopero indetto dall’Intersindacale, coerentemente non ci fu l’adesione di CISL Medici e di UIL Medici.

Sulla manovra che verrà votata nei primi giorni della settimana entrante, ma che con tutta evidenza non modificherà quanto deciso dal Senato, non è previsto il contributo sui redditi superiori rispettivamente a € 90.000 e a € 150.000 Euro per i dipendenti da aziende private.

Tutti si sono stracciati le vesti quando, nel testo iniziale della manovra veniva previsto, in analogia a quanto sancito dalla Legge n. 122/2010 per i dipendenti pubblici, un contributo (in questo caso deducibile) pari rispettivamente al 5% e al 10% a carico di chi percepisce redditi superiori a € 90.000 e a € 150.000 euro.

Quando l’ipotesi è stata cancellata per i privati, la gabella è rimasta in carico ai soli dipendenti pubblici, non sono riuscito a cogliere scorrendo i comunicati stampa, nessuna protesta da parte di CISL e UIL .

Per il pubblico impiego, oltre ai 4 anni di fermo contrattuale previsto dalla Legge n. 122/2010, viene aggiunto un altro anno, portando così in totale a 5 anni il blocco degli stipendi pubblici.

Di nuovo nel silenzio più totale.

Nella manovra in fase di approvazione, e a ulteriore dimostrazione della volontà punitiva nei confronti dei dipendenti pubblici, viene ulteriormente previsto:

  • il prolungamento fino al 2014 della facoltà per le amministrazioni pubbliche, di “rottamare” i dipendenti al raggiungimento dei 40 anni contributivi

  • il pagamento del trattamento di fine rapporto entro 24 mesi, anziché entro 6 mesi, in caso di pensionamento per anzianità

  • la possibilità di disporre, nei confronti dei dipendenti, che l’attività di servizio venga prestata in luogo e sede diversi, sulla base di motivate esigenze

  • l’utilizzo, ai fini della determinazione dell’ammontare della liquidazione di fine servizio, nel caso di titolarità di un incarico di durata inferiore a tre anni, del trattamento economico relativo all’incarico precedente

e, “DULCIS IN FUNDO”

- un peggioramento del già contestato comma 32 dell’art. 9, con la legittimazione, nei confronti del personale con qualifica dirigenziale, di passaggio ad altro incarico dirigenziale, anche prima della scadenza del contratto individuale.

Probabilmente i ragionamenti da fare sarebbero ancora tanti, ma occorrerebbe farli in un contesto capace di assumere atteggiamenti critici a prescindere (quanto meno il più possibile) dal sindacato di appartenenza, tra colleghi che prendano atto di come, e con sempre maggiore evidenza, esista un attacco al ruolo del sindacato (vedi d.lgs. n. 150/2009) che rischia di svuotarne pesantemente ogni funzione.

A nessuno può sfuggire come questa manovra passi, con sempre maggiore evidenza, con il consenso dei cosiddetti sindacati “riformisti”, con i quali -come dichiara lo stesso Sacconi - è più facile fare accordi.

La stampa ha riportato anche la notizia, quando è uscita la folle proposta di annullare gli anni riscattati ai fini del conteggio degli anni per il conseguimento della pensione di anzianità, che il Ministro Sacconi (sempre quello), per scusarsi di esserne stato il promotore, ha dichiarato che sull’ipotesi c’era stato un preventivo accordo ……………, ancora con i sindacati riformisti!

Concludo con una riflessione sull’art. 8 del testo del D.L. approvato dal Senato : inorridisco al pensiero che CISL e UIL possano contrabbandare il contenuto dello stesso come una vittoria del sindacato poiché, sostengono, saranno i sindacati a decidere se mantenere o no l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (Legge n. 300 del 1970) in sede di contrattazione decentrata!

Decideranno quindi se mantenere o no una tutela per i lavoratori, quale il reintegro in caso di mancanza di giusta causa …. rendendo quindi aleatorio un diritto certo previsto nella legge (vi ricordo come, su questo tema, Cofferati portò a Roma 2 milioni di persone ….. e io ero tra questi).

Forse è il caso di valutare l’opportunità che i segretari nazionali dei sindacati riformisti partecipino alle assemblee dei lavoratori, anziché doverli vedere con sempre maggiore frequenza alle riunioni dei datori di lavoro, con i quali esprimono spesso una pericolosa sintonia, situazione che instilla il dubbio che ciò riduca contestualmente e proporzionalmente la sintonia con i lavoratori.

Non ho alcuna certezza sulla validità dello strumento “sciopero”, forse rimane un vecchio arnese sindacale per protestare, ma al momento, e in attesa che ne vengano inventati altri, credo che manovre come quelle descritte, pur nella consapevolezza della situazione del Paese, nella parte in cui così fortemente ledono gli interesse ed il ruolo dei lavoratori non possano avere altre risposte.

O riscopriamo il valore della solidarietà e degli interessi comuni, o difficilmente il sindacato potrà sopravvivere.

Paolo Levoni

(*) = Il Collega Paolo Levoni è esponente del SINDACATO NAZIONALE DIRIGENTI SANITARI SSN E ARPA