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Un Piemontese d'Altri Tempi

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ATS Sardegna : Link alla Presentazione delle Slides informative ai Sindacati

UN  PIEMONTESE  D'ALTRI  TEMPI

Nella pagina di oggi, probabilmente seguendo un rigurgito
freudiano, vogliamo ricordare la figura - a tratti controversa
-, del Conte Gian Battista Lorenzo Bogino.
Nacque a Torino il 21 luglio 1701; conseguì la laurea in
Giurisprudenza a soli 17 anni presso le Scuole dei Gesuiti,
e ancora giovanissimo entrò al seguito diretto di Vittorio
Amedeo II, re di Sardegna.
Grazie ai successi ottenuti i successi ottenuti come
Avvocato, con il fine di allontanarlo dalla difesa dei
Proprietari terrieri per diritto feudale, colpiti dagli editti
di esproprio dei terreni, fu prescelto dal Re per diventare
prima Procuratore Generale e poi Ministro della Giustizia
ben prima di compiere 30 anni.

 

L'ammodernamento dei metodi di acquisizione delle proprietà terriere, era un aspetto della linea riformatrice che Vittorio Amedeo II portava avanti ai fini di una rivoluzione della gestione delle coltivazioni. E' del 1931 un suo parere legale sulla "possibilità"per il Re di incamerare le proprietà ed i beni della Chiesa derivanti da diritti feudali.
Le fasi successive della carriera di G.B.L. Bogino furono dedicate prevalentemente ai problemi dell'esercito sabaudo che dal 1733 al 1737 si trovò impegnato in Lombardia per una campagna bellica da inquadrarsi nella guerra di successione polacca.

 

Ma le capacità del Bogino, cui nel frattempo era stato assegnato dal Re un appannaggio annuo di 5500 lire insieme al titolo di Conte di Migliandolo, trasmissibile per linea maschile, si manifestarono nel 1741 nelle trattative di pace con i francesi e con il Cardinale Lambertini a Bologna.

Gli anni dal 1741 al 45 permisero al Conte di aumentare ulteriormente il suo potere. Agiva sempre più in decisioni militari non solamente amministrativa ma anche strategiche e perfino nell'indirizzare gli spostamenti delle truppe, la costruzione di fortificazioni, tanto da essere chiamato in causa per le difese della città di Cuneo che non avevano retto all'offensiva dei Franco-Ispanici penetrati attraverso la Val di Susa. Nei successivi sviluppi della guerra che vedeva il Piemonte in gran parte occupato, con i Franco-Ispanici attestati in Asti ed Alessandria, fu l'unico a sostenere, durante i pochi mesi d'armistizio, la fedeltà all'alleato tedesco ed il rigetto delle proposte di pace ridiventando un vassallo dei Borboni.  Ottenuta l'approvazione reale e governativa alla sua bellicosa linea di condotta, durante i mesi da gennaio ad aprile 1746, preparò l'assalto alle fortificazioni di Alessandria ed Asti tenute dagli Ispanici; le due città furono liberate dagli assedianti e, subito dopo, con l'aiuto dei Germanici arrivati in soccorso, a seguito della battaglia di Piacenza del 16 maggio 1746, gli occupanti furono costretti ad abbandonare il Piemonte e a chiedere la pace.

L'anno dopo fu la personalità più indicata a sollecitare l'aiuto austriaco contro i Francesi che stavano penetrando nuovamente in Piemonte attraverso il Monginevro.

Il Conte Bogino assunse in quegli anni la carica di Segretario di Stato (una specie di Ministro degli Esteri) ma non divenne mai Primo Ministro, pur essendo una personalità particolarmente ascoltata per la sua capacità di analizzare con estrema meticolosità le diverse situazioni e proporre soluzioni all'altezza del suo curriculum ormai corposo. Nel periodo compreso tra il 1750 ed il 1763 il Bogino scelse per il Piemonte la neutralità; preferì rinunciare alla possibilità di estendere la corona sabauda al ducato di Piacenza e si occupò di riordinare le finanze e, soprattutto, di incassare ben nove milioni al termine della luna vertenza europea grazie alla scelta della neutralità.

In questi anni si dedica alla razionalizzazione della monetazione nel regno sabaudo e avvia contatti di alto livello per stabilire le parità con le monete del Lombardo-Veneto e del Granducato di Toscana, con l'obiettivo di ottenere una circolazione monetaria più fluida, rapida e controllata. Questo aspetto non andò a regime, ma riuscì nell'intento di razionalizzare la circolazione delle monete nel Regno di Sardegna e riuscì a introdurre e a far accettare le prime banconote, chiamate "lettere di credito", per sostituire temporaneamente le monete circolanti usurate. Queste banconote assumevano il valore corrispondente del metallo ritirato,  in attesa della nuova fusione; questa procedura fu veramente innovativa.  Era infatti riuscito a legiferare sulla quantità di monete usurate che potessero circolare, stabilì le percentuali di metallo e le corrispondenze di valore tra diverse zecche. Ricordiamo che solo in Sardegna esistevano allora almeno tre zecche: quella di Sassari, Cagliari ed Iglesias.
Anche in questo periodo di pace non dimenticò la guerra; ammodernò l'esercito riducendo il numero degli effettivi, ammodernò divise, equipaggiamenti e armamenti. Spese quanto economizzato per ricostruire le fortificazioni distrutte dalla guerra precedente in Asti, Alessandria, Cuneo e Demonte; per contrastare la pirateria intorno alla Sardegna comprò due fregate in Inghilterra.

Al termine del 1759 riceve una seconda "pensione" di 2100 lire e l'incarico di occuparsi della Sardegna.

In effetti se ne occupava già dal 1755; fu in quell'anno che consigliò e convinse il Re a "non-convocare" gli "Stamenti". Questi erano l'espressione di una consultazione dei nobili e notabili dell'epoca, che potevano quindi rappresentare la situazione e proporre soluzioni.

La sua idea cardine nell'affrontare i fenomeni del brigantaggio e banditismo che impedivano in quell'epoca qualsiasi sviluppo economico dell'isola, era l'imposizione della giustizia attraverso la conferma delle leggi e delle istituzioni esistenti ma con un notevole aggravio delle pene e la pubblicazione degli elenchi dei condannati in contumacia. Questo avvenne con un editto pubblicato il 13 maggio 1759. Nomina giudici in ogni piccolo paese e ordina che almeno due volte all'anno presentino l'elenco delle cause pendenti e di quelle giunte a soluzione. Rendendosi però conto che il metodo repressivo non porta risultati apprezzabili, nel 1767 concede un indulto per permettere ai responsabili minori di riprendere il proprio lavoro nei campi.  Per evitare che le liti giudiziare di tipo economico blocchino il commercio, istituisce a Cagliari e Sassari due "Consolati" per avere arbitrati più celeri in questo tipo di cause.  Contemporaneamente fa raccogliere le leggi emanate nei secoli precedenti in un corpo unico (Sanna-Lecca) e nel 1971 impone l'ammodernamento delle carceri ai "Baroni" locali.
Contemporaneamente combatte contro i privilegi ecclesiastici dei chierici sposati che erano molto più numerosi dei celibi, per contrastare il fenomeno del mantenimento dei ricchi privilegi pur "avendo famiglia".  Impone inoltre alle scuole (all'epoca quasi esclusivamente clericali) di aumentare il livello qualitativo della istruzione offerta e nomina una figura preposta alle verifiche.
Affronta inoltre con risolutezza il fenomeno della connivenza tra le antiche famiglie di derivazione feudataria e i banditi che finivano per essere assoldati come braccia armate per l'oppressione dei contadini.  Si occupa di tutti gli aspetti della economia di allora; stanzia cifre rilevanti per l'istruzione e l'Università di Cagliari, dotandola di una biblioteca e di laboratori di zoologia, botanica, mineralogia; fa stampare libri a spese dello Stato e li distribuisce ai poveri anche con l'obiettivo di far conoscere la lingua italiana e soppiantare l'uso del catalano e dell'aragonese; incentiva la produzione delle saline;

In un'opera di un gesuita (Padre F. Gemelli) c'è persino traccia di una avveniristica azione psicologica attraverso pratiche di comunicazione istituzionale per preparare il popolo alla suddivisione dei beni con l'obiettivo di ridurre i reati contro i latifondisti.

Pur studiando e proponendo visioni riformiste precorritrici di epoche successive, non abbandonerà mai l'idea che alla base di una società civile stia una disciplina ferrea rispettosa delle istituzioni, della monarchia e dell'ortodossia.
Il 12 aprile 1771 viene bruscamente congedato dal successore al trono. Deceduti i sovrani che gli aveva concesso piena fiducia per circa 53 anni, Vittorio Amedeo II prima e Carlo Emanuele III poi,  la carriera del Conte Bogino si interrompe bruscamente quando sale al trono Vittorio Amedeo III che lo detestava.

Il Conte Bogino fu quindi una persona colta che per quei tempi ha avuto spunti di vera politica economica e sociale. Soprattutto ha mostrato in molteplici occasioni non solo di attuare i suoi progetti con tenacia e perseveranza, ma anche di saper cambiare, modificare, sostituire programma durante la realizzazione dello stesso. Ha mostrato in occasioni difficili di saper studiare con anticipo e meticolosità la situazione su cui doveva intervenire con obiettivi talora ambiziosi; sviluppava i programmi d'intervento lontano da condizionamenti esterni.  La sua assoluta fedeltà al monarca per il quale agiva, ha evidenziato ed esaltato il suo spirito di servizio, lontano dalla ricerca di vantaggi personali o per la sua famiglia.

Con la sua figura dominò circa 50 anni di politica interna ed estera del Regno di Sardegna, ma il periodo per il quale viene maggiormente ricordato è la amministrazione della Sardegna come Vicerè.

 

Eppure in Sardegna rimangono nella lingua sarda espressioni che non gli portano molto onore:

"Ghi di currit su Bugginu" (Che ti insegua il Bogino), oppure

"T'impikkiri su Bugginu"   (Ti impicchi il Bogino), oppure

"Ghi ri seghiri su tzugu su Bugginu"  (Che il Bogino ti tagli il collo).

Tutte queste espressioni sembrano riferirsi al periodo in cui il Conte Bogino cercò di imporre il rispetto della legalità attraverso il lavoro dei tribunali e l'aumento delle pene, l'impulso alla carcerazione e alle attività di polizia e di repressione.

Dopo circa 250 anni i Sardi non hanno ancora dimenticato.
Non è invece chiaramente registrato nulla nei documenti consultati riguardo all'editto che obbligava i Sardi a tagliare la barba per facilitare il riconoscimento e neppure sulla necessità di dover fuggire dal palazzo viceregio di Cagliari e  riparare a Sinnai per evitare la folla cagliaritana inferocita.

Morì il 9 febbraio 1984 a Torino dove era nato.

Di lui Prospero Balbo scrisse che la sua "politica non fu mai disgiunta dalla buona morale e da un solido spirito religioso."

Vorremo poter ripetere queste parole per i politici d'oggi.